La trasparenza è servita!

La proposta della Commissione sull’istituzionalizzazione dell’arbitrato Stato-investitore nell’ambito del negoziato sulla TTIP (28.09.2015) La Commissione ha pubblicato la proposta diretta a Parlamento europeo e Consiglio per la discussione, relativa al capitolo sugli investimenti nel negoziato con gli Stati Uniti sulla Transatlantic Trade and Investment Partnership. Si tratta di un documento molto rilevante per tre ordini di motivi: a) esso propone un sistema nuovo di soluzione delle controversie sugli investimenti internazionali; b) si tratta di una proposta che delinea parzialmente la strategia dell’UE sugli investimenti internazionali; c) da un punto di vista politico, sarà interessante notare la reazione del Parlamento europeo sul punto.

È opportuno analizzare i tre profili separatamente.

a) Sotto un profilo giuridico, si tratta di un documento articolato che tenta di sistematizzare una materia estremamente frammentata ed un meccanismo finora non istituzionalizzato cioè l’arbitrato Stato-investitore (ISDS). L’ISDS infatti è un meccanismo di risoluzione delle controversie tra lo Stato, nel cui territorio si effettua un investimento, e l’investitore estero, sulla base di disposizioni contenute in trattati internazionali sugli investimenti, solitamente bilaterali. La protezione che viene fornita in tali accordi è principalmente volta a tutelare l’investitore estero nei confronti di atti normativi ed amministrativi dell’autorità pubblica che ledono interessi protetti dalle disposizioni contenute nei trattati suddetti. Ad ogni modo, la Commissione ha presentato una proposta per certi aspetti innovativa, per altri sostanzialmente simile a quanto contenuto nel testo dell’accordo commerciale con il Canada (CETA). Qui non si può entrare nei dettagli ma si può accennare ad alcuni tratti essenziali:
una definizione di investimento molto ampia: oltre a diverse forme di partecipazione societaria, l’investimento diretto estero comprenderebbe anche “interessi” derivanti, per esempio, da concessioni accordate dallo Stato ospitante. Questo significa che un investitore europeo che ottiene una concessione in Italia e dovesse ritenere leso il proprio interesse dovrà rivolgersi al TAR mentre un investitore statunitense nella stessa situazione potrà accedere al tribunale sugli investimenti;
il contenuto di alcune disposizioni sulla protezione degli investimenti risulta essere specificato per limitare l’interpretazione estensiva da parte degli arbitri. Ad esempio, l’art. 3, par. 2, indica i casi di violazione, da parte dello Stato, della clausola del trattamento giusto ed equo: si parte da casi circoscritti come il diniego di giustizia per arrivare a violazioni di tipo più sfumato come condotte dello Stato in mala fede o di violazione del legittimo affidamento dell’investitore. Inoltre, si include un meccanismo di aggiornamento della clausola. Su proposta della commissione su servizi ed investimenti, la commissione commercio può decidere di aggiornare il contenuto dell’obbligazione del trattamento giusto ed equo. Per quanto riguarda la clausola di piena sicurezza e protezione se ne limita l’operatività delimitandola alla sola “sicurezza fisica” degli investitori e dell’investimento. Lo Stato ospitante può procedere ad espropriazione se vi è un pubblico interesse, attraverso un giusto procedimento e senza forme di discriminazione. L’espropriazione può essere diretta (nazionalizzazione o trasferimento formale della proprietà dall’investitore allo Stato) o indiretta (effetto equivalente). Questa sezione della proposta è sostanzialmente uguale a quanto già contenuto nel testo del CETA;
se una disputa sorge occorre anzitutto vagliare la possibilità di composizione transattiva o attraverso la mediazione. Se non si giunge ad un accordo, il ricorrente inoltra una richiesta di consultazioni. Se anche queste falliscono, prima occorrerà avanzare una richiesta all’UE per la determinazione del convenuto, dopo si potrà effettivamente ricorrere al tribunale. Fin qui i cambiamenti rispetto a quanto già era contenuto nel testo del CETA sono minimi;
L’articolo 9 della proposta della Commissione istituisce il Tribunale di prima istanza (Tribunale). Esso è composto da quindici “giudici” di cui cinque europei, cinque statunitensi e cinque di paesi terzi. Essi sono esperti in diritto internazionale ed hanno un mandato di sei anni rinnovabile una sola volta. I casi saranno affrontati da collegi di tre giudici (uno europeo, uno statunitense ed un giudice di un paese terzo che sarà anche presidente di collegio). Si propone di istituire una corte d’appello composta di sei membri (due europei, due statunitensi e due di paesi terzi). Anche questa corte opererà per collegi di tre giudici. L’art. 11 prevede disposizioni deontologiche sui giudici (inoltre, vi è, in allegato alla proposta della Commissione, un codice di condotta rivolto ai membri delle corti): si stabilisce che, nel caso una parte ritenga che un giudice verta in una situazione di conflitto di interessi, essa possa avanzare un’istanza di ricusazione su cui eventualmente deciderà il presidente del tribunale o della corte d’appello;
la proposta della Commissione prevede complesse regole di interpretazione del capitolo sugli investimenti e disposizioni sul rapporto tra ricorsi, riguardanti il medesimo oggetto, presentati davanti al sistema delle corti sugli investimenti e altre corti come quelle nazionali o internazionali. Tralasciando questo ultimo profilo, sulle regole di interpretazione la proposta chiarisce che il diritto interno degli Stati “non dovrebbe essere parte del diritto applicabile dalle corti sugli investimenti”. L’inciso è ambiguo. Da un lato, esso vuole significare che, come specificato nei paragrafi successivi, le corti sugli investimenti non dovrebbero giudicare la legalità di un certo atto statale, dall’altro può voler dire che una misura di diritto interno può non rilevare nell’ambito di una disputa. Se questa circostanza può a prima vista stupire, occorre considerare che questo è ciò che accade già da molto tempo in alcuni casi. Il diritto interno, ad esempio una legge o una fonte secondaria, viene in rilievo come mero fatto (giuridicamente rilevante) in diverse dispute sugli investimenti riguardanti, ad esempio, lo sfruttamento delle risorse naturali da parte di imprese straniere. In tale caso, al primo gradino della scala gerarchica vi saranno le disposizioni sulla protezione degli investimenti, al secondo le clausole contrattuali tra Stato ed investitore e soltanto al terzo il diritto interno. Se, ad ogni modo, il diritto interno dovesse essere oggetto di interpretazione, si farà riferimento all’interpretazione prevalente tra le corti di diritto interno;
la proposta prevede inoltre poteri di decisione su opposizioni e questioni preliminari poste dal convenuto, la possibilità di assumere provvedimenti provvisori, la circostanza che, per mancanza di attività processuale del ricorrente, la procedura vada ad estinguersi, la possibilità di riunire i procedimenti, il diritto di terzi direttamente ed attualmente interessati al procedimento di intervenire, regole relative all’oggetto ed al valore della condanna, la condanna al pagamento delle spese processuali;
una delle grandi novità della proposta della Commissione è la costituzione di una corte d’appello con la conseguente possibilità delle parti di impugnare la decisione del tribunale di primo grado entro novanta giorni dalla sua emissione. L’appello può avere ad oggetto: una errata applicazione o interpretazione del diritto; un errore manifesto nella valutazione dei fatti, incluso il diritto interno; i casi previsti dall’art. 52 della Convenzione ICSID (ad esempio, eccesso di potere del tribunale, corruzione, violazione grave delle regole procedurali, etc.) qualora non già inglobati dai due casi precedenti. I poteri del tribunale d’appello sono di modificare o di riformare totalmente la decisione di primo grado, di rigettare l’appello o di considerarlo manifestamente infondato;
la questione della trasparenza delle controversie Stato-investitore è affrontata prendendo a modello le regole di trasparenza UNCITRAL. Tuttavia, il par. 2 dell’art. 18 della proposta mira ad espandere la sfera di applicazione dell’art. 3 delle regole UNCITRAL (riguardante il dovere di pubblicazione di documenti relativi al procedimento arbitrale), rendendo più ampia la categoria di documenti oggetto dell’obbligo di pubblicazione.

b) Come si diceva la proposta costituisce una base per comprendere come l’UE intenda perseguire la propria politica sugli investimenti internazionali. La Comunicazione del 2010 (COM(2010)343 final) sugli investimenti internazionali aveva svelato le difficoltà della Commissione nel comporre gli interessi in gioco. Dal 2010 quasi nulla è stato fatto in materia e recenti casi affrontati dalla Corte di giustizia iniziavano a svelare tensioni in merito all’equilibrio tra tutela degli investimenti diretti esteri ed interessi primari dell’ordinamento europeo come la concorrenza. Il documento, in verità, non affronta radicalmente queste questioni e sarebbe auspicabile venire a conoscenza della posizione della Commissione in tema. Come si intende bilanciare la tutela dell’investitore estero con altri beni giuridici primari dell’ordinamento europeo (inteso in senso ampio e con riferimento non solo ai Trattati ma anche alle “tradizioni costituzionali comuni”)? La proposta della Commissione contiene un riferimento alla difesa del right to regulate e della capacità degli Stati di perseguire obiettivi di politica pubblica. Se la Commissione fornisse maggiori dettagli in merito, sgombrerebbe il campo dal sospetto che il riferimento suddetto possa risolversi in una mera formula di stile.

c) In merito ai rapporti inter-istituzionali, occorrerà verificare da un lato la reazione degli Stati in merito alla loro competenza (ormai residuale) in materia di investimenti diretti esteri, attendendo anche il parere che a breve esprimerà la Corte di giustizia sull’accordo commerciale tra UE e Singapore, dall’altro la reazione del Parlamento Europeo (PE). In merito, può dirsi che il problema non è tanto la proposta della Commissione (che per alcuni aspetti risulta essere apprezzabile e coraggiosa) quanto il fatto che essa sia stata costruita sulla debolezza e sulla superficialità della raccomandazione del PE espressa nel mese di luglio. Come si è avuto modo di scrivere, sarebbe stato auspicabile che il Parlamento europeo, nella sua raccomandazione sul TTIP, fosse concentrato maggiormente sul diritto sostanziale piuttosto che su quello procedurale. Il PE ha invece indirizzato le proprie energie sulla trasparenza e sulla struttura del sistema arbitrale: la circostanza che i procedimenti arbitrali non siano pubblici, che le decisioni non siano appellabili e che il sistema non sia governato dal principio del precedente vincolante, costituisce sicuramente un problema. Tuttavia, la questione principale rimane il fatto che le clausole di protezione degli investimenti sono vaghe ed indeterminate e si prestano alle più diverse interpretazioni. Inoltre, vi sono problemi non indifferenti di compatibilità di una simile proposta con i Trattati. Quale sarà il rapporto con la Corte di giustizia? Se il sistema delle Corti sugli investimenti è, di fatto, una nuova istituzione, essa è sottoposta al rispetto dei trattati? In caso di contrasto tra diritto primario e clausole di protezione dell’investimento, quale norma prevale? Si utilizzerà un criterio gerarchico o di specialità, ammesso che quest’ultimo sia ammissibile? Così come la Commissione ha avuto gioco facile a rispondere a chi pretendeva maggiore trasparenza, denunciando la segretezza del negoziato sul TTIP, pubblicando numerosi documenti, ha avuto gioco altrettanto facile ad aprire le porte dell’arbitrato Stato-investitore, senza aver dovuto affrontare le questioni più spinose e contraddittorie in materia. Qualche parlamentare europeo, a luglio, dichiarò la morte dell’ISDS. Ora si capisce che stava guardando il dito e non la luna.

Per saperne di più:
Proposta della Commissione sul nuovo sistema delle Corti sugli investimenti
Testo dell’accordo commerciale con il Canada (CETA)
Convenzione ICSID
Regole di trasparenza dell’UNCITRAL
Strategia della Commissione sugli investimenti internazionali (COM(2010)343 final)
Sulla raccomandazione del PE

Federico Di Dario