Trade for all: luci ed ombre della proposta della Commissione per una politica commerciale responsabile (21.10.2015)

Analisi della nuova strategia della Commissione su commercio ed investimenti internazionali

Con la Comunicazione del 14 settembre [dal titolo “Trade for all, Towards a more responsible trade and investment policy”, COM(2015) 497 final], la Commissione ha definito la nuova strategia su commercio ed investimenti dell’UE. L’annuncio dell’esigenza di sviluppare un nuovo approccio era stato diffuso nel maggio scorso a seguito delle crescenti critiche rivolte da più parti alla politica commerciale comune condotta dalla Commissione soprattutto nel contesto dei due negoziati “transatlantici” ossia il TTIP ed il CETA. Infatti, sul sito che la Commissione ha dedicato al tema, si legge che la nuova strategia costituisce anche «una risposta all’intenso dibattito in corso sul commercio nell’UE».

Dopo la cosiddetta “iniziativa sulla trasparenza”, che ha portato la Commissione a pubblicare alcuni documenti del negoziato con gli Stati Uniti, e lo sviluppo della proposta europea sull’arbitrato Stato-investitore, conseguente alle raccomandazioni del Parlamento Europeo ed attualmente in discussione tra le istituzioni europee, si aggiunge un altro tassello alla definizione della nuova politica commerciale comune. Quest’ultimo passaggio è particolarmente utile alla Commissione per dimostrare come la conclusione di un trattato commerciale possa apportare consistenti benefici all’economia ed alla società europea, nonostante numerose critiche, per eccesso di ottimismo in alcuni casi, in altri per l’utilizzo di modelli economici decisamente “ideologici” e lontani dalla realtà, siano state mosse verso le valutazioni dell’impatto economico utilizzate dalla Commissione, soprattutto quelle riguardanti il TTIP.

Venendo all’analisi della Comunicazione, il documento si sofferma anzitutto sulla necessità di beneficiare del commercio internazionale per l’UE se non altro perché «si prevede che approssimativamente il 90% della crescita economica globale nei prossimi 15 anni sarà generata all’esterno dell’UE». Sfruttare “la crescita degli altri”, attraverso il rafforzamento dell’export e la creazione di un ambiente favorevole per attrarre gli investimenti diretti esteri, risulta essere prioritario per la Commissione europea. Tuttavia, si sottolinea, per cogliere tali opportunità occorre «una politica di riforme strutturali, meno burocrazia, maggiore accesso alla finanza e più investimenti». Il documento passa quindi in rassegna le misure necessarie affinché la politica commerciale comune affronti le «nuove realtà economiche» e ne tragga vantaggio. Questo, per prima cosa, implicherebbe confrontarsi con l’affermarsi delle “catene globali del valore”. In merito, si esprime la convinzione che, anche nell’attuale contesto di difficoltà, occorre rinunciare definitivamente a politiche protezioniste attraverso l’aumento del costo delle importazioni, soprattutto nel settore dei servizi che ormai costituiscono il 70% del PIL europeo. Per quest’ultimo motivo la UE è coinvolta insieme ad un gruppo di Stati membri del WTO nel complesso negoziato sul TiSA. La posizione dell’UE, precisa la Commissione, è comunque quella di lasciare agli Stati la possibilità di fornire, supportare o regolare alcuni servizi in particolare come la sanità e l’educazione. Saper sfruttare le “catene globali del valore” significa inoltre facilitare il commercio digitale. Il punto, come è noto, è di grande attualità visto che, proprio qualche giorno dopo la pronuncia della Corte di giustizia sul caso Schrems, la Commissione afferma che occorre garantire «i diritti fondamentali alla privacy e la protezione dei dati personali attraverso un robusto quadro giuridico», che evidentemente al momento non esiste. Tuttavia, scorrendo il documento si legge che, nell’attuale quadro economico, «la raccolta, l’immagazzinamento, il trattamento ed il trasferimento dei dati (…) sono divenuti parte integrante dei modelli di business attuali». Per tale motivo è necessario garantire il libero flusso dei dati attraverso gli strumenti di cooperazione regolativa con altri paesi. Altre questioni ritenute essenziali dalla Commissione sono il miglioramento del quadro giuridico europeo ed internazionale sulla mobilità delle persone, la gestione efficiente delle dogane, la protezione dell’innovazione e della proprietà intellettuale, la garanzia dell’accesso all’energia e alle materie prime, il miglioramento della cooperazione normativa. Sugli ultimi due punti può farsi qualche considerazione: per quanto riguarda l’accesso alle materie prime, il documento afferma da un lato l’esigenza di creare un contesto normativo globale in cui le imprese di proprietà pubblica agiscano nel rispetto delle leggi del mercato, dall’altro riafferma il principio della sovranità sulle risorse naturali, che nella prassi tuttavia ha incontrato e incontra considerevoli limiti. In merito alla cooperazione normativa, su cui, si segnala, sta lentamente (ri)emergendo un importante dibattito tra gli studiosi, la Commissione afferma di voler proseguire nello sviluppo di modelli di cooperazione sia generali che settoriali che permettano in modo permanente l’abbattimento delle barriere regolative riducendo così i costi di transazione per le imprese. Il documento si sofferma poi sul tema dell’utilizzo dei vantaggi dei trattati di libero scambio, l’applicazione del quadro regolativo commerciale da parte di tutti al fine di evitare pratiche scorrette come il dumping o i sussidi alle imprese, l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese, lo sviluppo e l’impiego di strumenti che consentano ai lavoratori di adattarsi ai cambiamenti strutturali provocati dall’apertura dei mercati poiché, ammette la Commissione, possono verificarsi «conseguenze dirompenti per alcune regioni e lavoratori».
Il documento affronta poi il tema della politica commerciale comune sotto il profilo della trasparenza. La trasparenza, o meglio, la mancanza di trasparenza è stata il cavallo di battaglia dei contestatori del TTIP. La Commissione ha deciso quindi di pubblicare una serie di documenti riguardanti il negoziato in risposta alle critiche che non si sono comunque assopite. Nella Comunicazione si propone quindi di rafforzare il dialogo inter-istituzionale, di migliorare il dialogo con la società civile e di effettuare, per ogni iniziativa, una valutazione dell’impatto economico, sociale ed ambientale in linea con quanto previsto dall’agenda sulla Better regulation.
Altro capitolo di Trade for All è quello intitolato “Una politica commerciale e sugli investimenti basata sui valori”. In primo luogo, si riprende il tema della regolazione, in parte già trattata in precedenza, e del ruolo dell’UE nello sviluppo di nuove regole globali sugli investimenti. In secondo luogo, si propone un’agenda sul commercio che promuova lo sviluppo sostenibile, i diritti umani e la buona governance anche in vista dei nuovi obiettivi dell’agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile. Per questo, la Commissione prevede di rivedere la disciplina dell’accesso preferenziale dei paesi meno sviluppati e dei paesi in via di sviluppo al mercato europeo e la disciplina degli aiuti al commercio. Il documento contiene l’impegno a valutare le possibili conseguenze negative di accordi regionali dell’UE sui paesi terzi e a fare pressione sul WTO ed altre organizzazioni internazionali affinché i paesi meno sviluppati riducano al minimo le misure protezioniste. Per quanto riguarda il sostegno ai pilastri ambientale e sociale dello sviluppo sostenibile si menzionano l’iniziativa GSP+, ossia lo strumento recentemente sviluppato dall’UE, attraverso cui si condiziona il taglio dei dazi al commercio alla ratifica delle convenzioni internazionali che hanno riguardo ai diritti umani e al lavoro, all’ambiente e alla good governance, l’inclusione di previsioni riguardanti il rispetto di standard ambientali e lavorativi minimi negli accordi in via di negoziazione, il ruolo dell’Unione nel portare avanti il negoziato multilaterale sui beni e servizi ambientali, l’utilizzo della politica commerciale per promuovere i diritti umani, in particolare il piano d’azione 2015-2018, includere previsioni sulla lotta alla corruzione nei futuri trattati commerciali.
L’ultimo capitolo del documento è dedicato alle prospettive del futuro prossimo della politica commerciale comune. Anzitutto, si propone di ridare centralità all’OMC attraverso un approccio che consideri «ogni questione nel proprio merito», abbandonando definitivamente il c.d. single undertaking approach (ossia il principio “tutto o niente”), la proposta di una sorta di cooperazione rafforzata tra determinati membri dell’Organizzazione. Il tentativo di ridare centralità all’OMC come si raccorda con le strategie bilaterali e plurilaterali promosse negli ultimi anni dall’UE? La Comunicazione offre qualche spunto ma non propone soluzioni definitive sul tema. Infatti, se in astratto si ritiene che gli accordi di libero scambio siano solo «un laboratorio per la liberalizzazione del commercio globale», non vi sono proposte su come ostacolare la frammentazione prodotta dagli accordi bilaterali se non attraverso una “multilateralizzazione” degli accordi bilaterali e regionali come il TTIP. Questo è considerato il più ambizioso accordo mai negoziato dall’Unione e per questo rimane una priorità assoluta per la Commissione. Per quanto riguarda l’Asia e la regione del Pacifico, oltre al corrente negoziato aperto con Cina e Giappone, la Commissione proporrà al Consiglio di concedere un’autorizzazione per dare il via alle trattative con Australia e Nuova Zelanda. Il documento poi lascia spazio ad una panoramica su Africa, Turchia, America Latina, Caraibi e si conclude con la Russia, Paese con cui «sarebbero auspicabili legami economici più stretti» ma «le prospettive, sotto tale profilo, saranno determinate dal corso della politica estera e interna della Russia che al momento non mostra i cambiamenti necessari». Si tratta di un’eccezione alla regola, in quanto il documento si apre con l’assunto secondo cui l’apertura di negoziati commerciali «deve continuare principalmente ad essere basata su criteri economici» e solo secondariamente sul «contesto politico generale».

Alcuni interrogativi sulla proposta della Commissione

Di seguito si sintetizzano alcuni aspetti critici e si riportano alcuni interrogativi lasciati aperti dalla Comunicazione:
-Macroeconomia ‘for dummies’: non occorre essere provetti economisti per comprendere che la premessa fondamentale del documento sta nell’incapacità (o, peggio, nella mancanza di volontà) dell’Unione (e degli Stati membri) di condurre politiche sulla domanda interna che permettano di risollevare l’economia. Le prospettive di crescita anemica pongono così l’imperativo di cercare continuamente mercati esterni per tenere in piedi il tessuto produttivo europeo. Basare la propria politica economica sulle esportazioni può avere però dei costi sociali ed economici molto alti sia su chi importa (leggiamo Grecia) sia su chi esporta (leggiamo Germania). Quello che è successo nell’Eurozona in questi anni non dovrebbe insegnare qualcosa?
– Regolazione e politica: negli ultimi anni si è molto parlato di regolazione tant’è che il termine stesso si è caricato di tanti e tali significati da essere difficilmente definibile. In sostanza, si tratterebbe di sviluppare ex novo (ed è quello che l’UE sta facendo con il negoziato sul TTIP) o impiegare metodi già esistenti (si pensi alle c.d. reti trans-governative) di cooperazione tra autorità governative o indipendenti affinché le differenze regolative tra gli ordinamenti si attenuino e conseguentemente anche i correlati costi di transazione si riducano. Il problema che si pone è inevitabilmente quello della legittimità democratica di tali metodi. Autorevoli studiosi hanno recentemente difeso la proposta della Commissione sulla cooperazione regolativa contenuta nell’ambito del TTIP asserendo la “non politicità” di essa: si tratterebbe cioè di creare un meccanismo di cooperazione volto a rimuovere o smussare le differenze nella regolazione di materie e settori che, dato il loro alto tasso di tecnicità, non possono essere lasciati all’“arbitrio” dei parlamenti. Ma siamo così sicuri che le sedi costituzionalmente deputate non possano disporre di strutture tecniche che permettano una discussione ed un voto parlamentare o che comunque non si possa garantire che le decisioni vengano prese da un’autorità politicamente responsabile? È così indispensabile creare organismi regionali o globali di regolazione composti da tecnici? Se sì, per ottenere quali benefici? Sostenere che tutto ciò che è tecnico, ossia buona parte di ciò che è “figlio” della c.d. società del rischio o della c.d. società dell’informazione, non sia anche politico, vuol dire erodere in modo crescente la competenza degli organi costituzionali. D’altronde, il già citato caso Schrems, in cui la Corte di giustizia ha dichiarato l’invalidità del c.d. approdo sicuro, ossia il meccanismo attraverso cui la Commissione ha garantito dal 2000 il trasferimento di dati negli Stati Uniti, dovrebbe suggerirci che anche le decisioni “tecniche” (in questa materia vi era una cooperazione tra la Commissione europea e la Commissione federale per il commercio statunitense) possono avere un impatto sulla vita dei cittadini ed essere tutt’altro che prive di implicazioni politiche.
– Trasparenza e credibilità: se l’accezione di trasparenza, come sembra adombrare, coincidesse con la pubblicazione di valutazioni dell’impatto e con sessioni di consultazione sporadiche con la “società civile”, da prendere in considerazione solo quando corrispondano all’orientamento politico della Commissione, se ne potrebbe fare direttamente a meno. Se è vero che, come afferma Trade for All, «c’è una crescente domanda di trasparenza nei negoziati commerciali» occorrerebbe aprire una discussione profonda sul perché l’opinione pubblica europea guardi con sospetto questo tipo di negoziati condotti dall’UE. D’altronde di accordi commerciali, anche “scellerati” e segreti, se ne sono conclusi molti in passato da parte degli Stati membri stessi. Perché questa domanda di trasparenza tende oggi a farsi più insistente? Si può ragionevolmente supporre che, anche qualora la Commissione decidesse di pubblicare tutti i documenti e trasmettere in diretta streaming le sessioni negoziali, le critiche non cesserebbero di levarsi. Il punto probabilmente non è (soltanto) la trasparenza ma la credibilità dell’Unione. Come mai non c’è fiducia nel ruolo delle istituzioni europee? Come mai è così diffusa la convinzione che il Parlamento Europeo non sia in grado di garantire la legittimità democratica del procedimento di conclusione dell’accordo? Le politiche condotte durante la crisi economica, con il placet della Commissione e della BCE, e i trattati internazionali come il Fiscal Compact conclusi con metodo intergovernativo e che hanno di fatto ulteriormente posto ai margini i parlamenti (europeo e nazionali), non hanno forse scalfito la credibilità dell’UE?
Federico Di Dario